mercoledì 25 marzo 2009

Io gli farei una statua in ogni città...


Foto da FLICKR,Inserito il 13 novembre 2007 da scre(A)nzatopo


Ci sono 18 miliardi di motivi che mi rendono felice.
I miei amici sono uno di questi 18 miliardi.
Uno in particolare è Dario che ha risposto per primo all'appello.
Gli facevo il filo da un anno, davanti alla scuola.
Lo vedevo tutte la mattine con la figlia, davanti alla scuola.
In bicicletta!
O seduto sui gradini della scuola.
Abbracciato alla figlia.
E pensavo... sarà vedovo? Divorziato?
Invece no, per fortuna!
Ma chissà perché quando si vede un papy affettuoso
chissà perché noi donne pensiamo sempre a un dramma!

Avevo deciso! Dovevamo diventare amici.
Per un anno mi passava di fianco senza salutarmi.
Poi piano piano.... complici i compleanni, le feste della scuola ecc
e il fatto che ho pazienza: te gho preso!!!
Come dice il Santo.

Grazie per avermi regalato questo scritto.
Scritto con il cuore e con la testa.
Il prossimo passo è abbandonare la paternità di questo blog,
dare la password a tutti i miei amici e fare un BLOG comune.
Anzi comunista! Condiviso.
Tanto l'anno sabbatico è finito e dovrò dare una svolta nuova
a questo blog!


Il mio sogno comincia la mattina presto.
L’ora in cui streghe e folletti sono appena andati a dormire: l’ora più strabiliante per sognare.
Tra letti per aria, tazze da lavare e improbabili slalom bagno-cucina-camera per recuperare i ritardi cronici.
Mi metto in moto in mezzo a smorfie, sorrisi, mezze parole che scandiscono il tempo dei preparativi di ogni giorno.
Le solite mattine, i soliti orari, le solite dimenticanze e i soliti gesti.
Eppure, ogni volta….magia dappertutto!
Martina ha occhi talmente grandi e belli che quando ci cado dentro mi si ferma il respiro dall’emozione.
Poi, con quella sua aria apparentemente imperturbabile, le scappa un sorriso e mi sferra il colpo di grazia.
Catturato, per sempre, fino all’ultimo dei miei giorni.
Nel frattempo salutiamo il primo turno che esce di casa.
Anita ha ricevuto in dono dalla vita uno sguardo magnifico: dolce come un promessa e tagliente come una minaccia.
Ha sfumature di un campo di grano, la mattina.
Ma se gli occhi assumono il colore del mare in tempesta ho imparato a cambiare rapidamente fuso orario.
Temerario sì, ma non suicida.
Così, vago incantato tra sguardi, sorrisi, voci che si accordano come strumenti, tra piccoli e grandi nervosismi del mattino.
Silvia ci saluta e ci ordina il buongiorno.
Meglio non disobbedire.
Ora tocca a noi.
Con Martina salto in bicicletta e ci infiliamo nella spumeggiante corrente del fiume.
Ciao fiume, ciao vita, ciao umanità pulsante, in costante e sconvolgente attività!
Le regole familiari che normano l’uso della bicicletta la mattina sono note già dai tempi della scuola materna di Anita.
Solo due cose possono fermarci: la pioggia forte e, soprattutto, la tristezza.
Perché per pedalare ci vuole cuore.
Arriviamo a scuola Romagna, bellissima: luogo di sana crescita per generazioni di bambini.
Controllo che Martina entri illesa, ovvero superando il muretto di maschi che prendono a testate il portone per entrare prima.
Vai a capire.
E poi via, in mezzo al traffico.
Ipod e bicicletta.
La musica da pedalata cambia con l’umore della giornata: difficile fare previsioni.
A volte, se non metto i Rage non riesco a muovere la bicicletta sull’asfalto neppure di un metro.
Altre volte, invece, cerco l’abbraccio di qualche bella voce femminile.
La bicicletta, mio dio!
Due pedali, un manubrio, due ruote, un sellino e ti senti in paradiso.
Il ciclo assaltatore urbano che è in me trionfa sulle macchine pateticamente in coda.
Pedalo, canto a squarciagola, saluto gli estranei che mi osservano dubbiosi, faccio le gare con il tram.
Qualche volta vinco.
Io a quello lì che ha inventato la bicicletta gli farei una statua in ogni città.
Mamma mia.
Ha donato felicità al mondo intero in cambio di un minimo sforzo muscolare.
Per non dire dello stato di grazia del ciclista.
Quella cosa che ti prende all’improvviso, ti spinge da dietro, ti solleva da sotto.
Vuoi sapere la ragione per cui pedaliamo come pazzi con sorrisi a metà tra l’ebete e il soddisfatto?
Perché i ciclisti, qualche volta, volano.
Giuro.
L’entrata in bici nel cortile dell’ufficio è una scommessa ogni mattina.
C’è la sbarra…non so se mi spiego.
Il custode fa di tutto per alzarmela in tempo e ogni volta mi dice che è l’ultima.
Funziona così.
Arrivo sparato, affronto la curva a velocità impossibile e la sbarra si solleva comprensiva davanti al mio naso, con tempismo perfetto.
Saluto il custode con un cenno e prego in silenzio il mio ringraziamento.
Tanto lo so che prima o poi succederà.
Lui verrà distratto da una telefonata, da un riflesso sul vetro, dal sole, da un ricordo, chissà, io non riuscirò a fermarmi in tempo e la sbarra mi finirà sui denti.
Poco male, scommetto che si farà più male la sbarra.
In ufficio, più che altro mi sforzo di non ridere tutto il tempo, francamente non capisco come riescano a fare finta di crederci.
Hai presente quando Truman scappa con la barca a vela e dopo una lunga navigazione infilza, rompendolo, il fondale di cartapesta dell’orizzonte?
Ecco, una roba del genere.
Qui è tutto finto.
Meno male che ci sono le persone.
Yeeeeahhhh!
La vita di relazione è tutto.
Così tra una risata, uno scherzo, una confidenza, una chiacchiera, una discussione, la giornata offre scambi di ogni tipo.
Però per salvare le apparenze, diciamo anche che faccio cose, vedo gente e bon.
Ciao raghi, bella lì, cissi domani.
Il ritorno a casa è poesia allo stato puro.
Può capitarmi di fermarmi a scattare qualche foto al tramonto, ad un graffito su un muro, un riflesso, un lampione nella nebbia, due innamorati su una panchina.
Intanto, stesse persone in macchina, stesse facce spente, stesse code, stessi semafori rossi.
Io invece scoppio di energia, tiè!
L’effervescenza di Shakira nelle orecchie mi fa anche dimenare il bacino mentre pedalo e la bicicletta asseconda il movimento: un miracolo che non mi investano.
Un miracolo che non mi rinchiudano.
La cena è la meraviglia in terra della mia famiglia.
Nella mia personale top ten delle ragioni per cui vale la pena vivere.
Tutti parlano di tutto, contemporaneamente.
In alcuni casi, respirare può diventare un optional.
Racconti di scuola, di ufficio, di amicizie, di interrogazioni di matematica, di pensieri pensati camminando, studiando, parlando, di inviti, di scherzi, di programmi per il fine settimana.
Il mio adorato suk.
Tutti vendono, comprano, barattano, offrono, prendono, mostrano, scambiano, in armonia irripetibile e perfetta.
Tutti sorprendono tutti.
A prima vista sembra soltanto una somma incomprensibile di voci e di racconti.
Una gioiosa baraonda.
Ma a saperci guardare dentro, si comprende lo spartito.
Si scopre il ritmo, la dinamica, i passi.
Perchè questa comunicazione è fatta di una danza rapida di rara leggerezza.
Tutti ascoltano tutti mentre tutti parlano di tutto.
Madò!
Al termine di alcune cene particolarmente ricche di scambi osservo la cucina svuotarsi e mi dedico a guardare la mia famiglia che si sparpaglia per le stanze.
E’ un momento che ho imparato ad assaporare.
Quando sono in quello stato d’animo vorrei essere capace di esprimere quanto lo stupore accompagni la mia vita.
Capisco in un solo istante tutto l’amore che riempie questa nostra casa, le nostre vite, i nostri legami, il tempo delle nostre giornate e dei nostri sentimenti.
E sento che ne sono pieno da scoppiare.
E’ un’emozione intensa, tanto bella da fare quasi male.
Gli antichi greci scrivevano che in momenti di particolare e pungente consapevolezza si avverte chiaramente la presenza di un dio.
Ora so cosa intendevano.

Luisella,
l’avrai capito, ormai.
Questo non è il sogno di qualcosa che vorrei.
A guardare bene, quello che ho mi fa già sognare tutto il giorno.
Dario.

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